Piazza Italia

Casarsa della Delizia

Piazza Italia, chiamata  piazza della Bandiera al tempo di Pasolini, si trova nel centro di Casarsa e oggi conserva una traccia della roggia che la attraversava in una fontana, che insiste nell’area pedonale di via 24 maggio.
Nelle immediate vicinanze, in via Guido Alberto Pasolini 4, si trova il Centro Studi Pier Paolo Pasolini, ubicato nella casa materna del poeta.  In quella sede è possibile ricevere informazioni accurate sulla figura del poeta, con particolare attenzione alla sua formazione giovanile, e conoscere alcuni aspetti poco noti della sua permanenza a Casarsa, come la passione per la pittura. Il Centro, inoltre, organizza con regolarità mostre fotografiche e pittoriche dedicate alla testimonianza di Pasolini, oltre a promuovere un ricco ventaglio di iniziative, tra convegni scientifici  di studio, momenti didattici e occasioni di conoscenza a carattere più divulgativo.
Dalla piazza Italia si diramano le strade che portano, da un lato, al cimitero e alla vicina Valvasone e, dall’altro, alla stazione, alle frazioni di San Giovanni e  Versuta e a San Vito al Tagliamento.
La vicina strada provinciale n. 13 “Pontebbana” permette di raggiungere facilmente Udine e Pordenone.

Le parole di Pasolini

Un paesaggio di rogge, boschetti e piccoli paesi

"III. 1°. Ta la riva destra dal Tajamìnt, a sinc chilometros da l’aga, – che, tra li muntagnis e il mar, 'a è rivada tal mies dal so cori, – a è par cas nassuda, forsi in antichissim timp, Ciasarsa. La campagna, dulà che chistis fumulis ciasis a si strinsin sensa armonia intor da la glisia, e che cortii nulin tant di ledan, a no si disarès biela: morars in granda quantitat, e vignis tai [...] dai ciamps. Il furmint, la siala, e, massima, il granturc, a cressin abbundans, tai pissui ciamps separas da un gran numer di rojs, rogiutis, fossals. Di Fevrar, che nissuna fueia a fa ombrena, la campagna a par infinida – coma ta li nos di luna – e a riva fin dongia li muntagnis, e, ai pes di chistis, si iodin, coma filis di perlutis, i paesùs dal Friul. Li aghis a corin plenis e sglonfis cun rumour. A tasin, inveci, di Estat. Alora li acassis, li saginis, e i tiglios, che encia lour a cressin in granda quantitat, a son  cuiers di fuejs; popolas da una quantitat infinida di usielus ch'a ciantin, a scundin la visual; li montagnis si iodin lontan doma di tant in tant; il granturc al è alt e madur; i paesùs, platas davour boscùs, rojs e ciamps, a vivi cadaun na so vita misteriosa, cul sighes da li sos feminis, e i ciars che van e che vegnin, cul pacific ciaminà dai joucs."

[Tr.: III. 1°. Nella riva destra del Tagliamento, a cinque chilometri dall'acqua, – che, tra le montagne e il mare, è giunta a metà del suo percorso, – è per caso nata, forse in un tempo antichissimo, Casarsa. La campagna, dove queste case color del fumo si stringono senza armonia, e i cortili odorano di letame, non si potrebbe dire bella: gelsi in grande quantità, e vigne nei [...] nei campi. Il frumento, la segale, e, soprattutto, il granoturco, crescono abbondanti, nei piccoli campi separati da un gran numero di rogge, roggette, fossati.  A Febbraio, quando nessuna foglia fa ombra, la campagna pare infinita – come nelle notti di luna – e arriva fin presso le montagne, e, ai piedi di queste, si vedono, come fili di perline, i paesetti del Friuli. Le acque scorrono piene e gonfie con rumore. Tacciono, invece, di Estate. Allora le acacie, le saggine, e i tigli, che crescono anch'essi in grande quantità, sono coperti di foglie; popolati da una quantità infinita di uccellini che cantano, nascondono la visuale; le montagne si vedono da lontano solo di tanto in tanto; il granoturco è alto e maturo; i paesetti, nascosti dietro boschetti, rogge e campi, vivono ciascuno una loro vita [...] misteriosa, con il vociare delle loro donne, e i carri che vanno e che vengono, col pacifico camminare dei buoi.]

 


Il brano, in friulano, è tratto dal manoscritto Vita, in cui  Pasolini descrisse con meticolosa precisione il paesaggio contadino della Destra Tagliamento e i piccoli paesi che lo punteggiano. Il manoscritto è rimasto inedito inedito fino al 1995 e ora è conservato nel Fondo d'Archivio del centro Studi Pasolini di Casarsa.

Edizione consultata:

Ciasarsa, San Zuan, Vilasil, Versuta, a circa di Gianfranco Ellero, ed. Società Filologica Friulana, Udine, 1995, p. 469.

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Piazza Italia

Casarsa, il "paìs" al centro di tanti piccoli borghi

"III. 2. Ciasarsa a par messa propri tal mies di ducius chistus paesùs. Coma tal centri di una circonferenza i ragios, tantis stradutis la lein a chei. Lunc il cors dal Tajamint, par la strada di Spilumberg, vers li montagnis, eco Valvason. Antic paìs, scur, cun biela e palida zent. Li ciasis vecis e tristis  a an dutis i portics, pissuis e scurs. In mies, il castel, abitàt adess da puora zent, col fossal plen di erbatis. Pasin in mies a li plassutis, e aghis verdis e vecis ca passin ca e la [...] fra li ciasis. Da Valvason, i podin scuminsià il giru, che, avint par centri Ciasarsa, al finis, n’altra volta dongia l’aga, a San Vit: e diciu chistus paesùs a an la so strada ca li leia al nustri paìs. […]

V. Forsi enciamò un dusint pass in davour vers Udin, e prima di rivà al Municipi, a si jodeva na strada cha va in sò, encia ic, vers Pordenon: chistu a è il Borc, dula ca son la Lataria e il Forno. Sint enciamò indavour si tornarà ta la plassa da la Bandiera; ulì, ad angul ret cul stradon, a è una strada, "Via Roma", ca ni puartarà a la Stasion, cun un gran plassal devant e cun grandis ciasis abastansa novis: la Stasion, l’Alberc “Leon d’Oro”, la ciasa dai feroviers. Dal plassal a si va, passant la ferovia, vers San Zuan. Pi in là una straduta va al Dopolavoro, al Cine. Fra la plassa da la Bandiera e il plassal da la Stasion, una strada squasi di ciampagna a puarta vers la Glisiuta, - na vecia capela – li Scuelis, la Canonica. Prima di entrà tal paìs da la part di Udin i erin passas dongia il Borc da li Agussis, il pì grassious, vert e rustic di Ciasarsa, cun salici e aghis.

IX. Li ciasis in mies dal paìs a no son ne vecis ne novis; ciasi di porès. Nissuna grasia, nissun louc singular ta la so disposision. Il casu pi vuarp [...] a li à tacadis una a che altra. Il paìs a si stend da Nord a Sud perpendicular al stradon asfaltat ch’al va a Udin, che, cun na dopla curva a passa propit in miès da li dos plassis pi importants dal paìs. Vignint da Udin si incuntra prima la plassa de la Bandiera, largia e grisa, e po, davour dal stradon asfaltat, si riva a la plassa dal Munissipi, dulà ca è encia la Glisia, il monumint, la ciasa dai cons; il stradon, tajand il borc Pordenon, al va propri vers Pordenon e po Venesia; il borc Pordenon a è un’unica strada, largia, cu lis ciasis vecis, grisis, fracadis. Ma, se, rivas alla plassa dal Munissipi, inveci di zi in devant, si va su a destra, si rivarà tal borc Valvason, ta la strada,appunt, ca va a chel paìs. Il borc al è puaret e scur, cu li ciasis forsi pì vecis dal paìs. Pì di là si va encia al cimiteri nouf."

[Tr.: III.2. Casarsa sembra messa proprio nel mezzo di tutti questi paesetti. Come i raggi  nel centro di una circonferenza, tante stradine la legano a quelli. Lungo il corso del Tagliamento, per la strada di Spilimbergo, verso le montagne, ecco Valvasone. Antico paese, scuro, con gente bella e pallida. Le case vecchie e tristi hanno tutte i portici, piccoli e scuri. In mezzo, il castello, abitato ora da povera gente, con il fossato pieno di erbacce. Passiamo in mezzo alle piazzette, e acque verdi e vecchie, che passano qua e là […] fra le case. Da Valvasone, possiamo  cominciare il giro, che, avendo per centro Casarsa, finisce, un’altra volta vicino all’acqua, a San Vito: e tutti questi paesetti hanno la loro strada che li lega al nostro paese. […]

III. Forse ancora duecento passi indietro alla volta di Udine, e prima di arrivare al Municipio, si vedeva una strada che va in giù, anche lei, verso Pordenone: questo è il Borgo, dove ci sono la Latteria e il Forno. Andando ancora indietro si tornerà nella piazza della Bandiera; lì, ad angolo retto con lo stradone, c’è una strada, “Via Roma”, che ci porterà alla Stazione, con un grande piazzale davanti e con grandi case abbastanza nuove: la Stazione, l’Albergo “Leon d’Oro”, la casa dei ferrovieri. Dal piazzale, si va, oltrepassando la ferrovia, verso San Giovanni. Più in là una stradina va al Dopolavoro, al Cinema. Tra la piazza della Bandiera e il piazzale della Stazione, una strada quasi di campagna porta verso la chiesetta – una vecchia cappella – le Scuole, la Canonica. Prima di entrare nel paese dalla parte di Udine eravamo passati accanto al Borgo delle Aguzze, il più grazioso, verde e rustico di Casarsa, con salici e acque.

IX. Le case in mezzo al paese non sono né vecchie né nuove; case di poveretti. Nessuna grazia, nessun luogo singolare nella sua diposizione. Il caso più cieco […] le ha unite l’una all’altra. Il paese si stende da Nord a Sud perpendicolarmente allo stradone asfaltato che porta a Udine, che, con una doppia curva passa proprio in mezzo alle due piazze più importanti del paese. Arrivando da Udine si incontra prima la piazza della Bandiera, larga e grigia, e poi dietro lo stradone asfaltato, si arriva alla piazza del Municipio, dove c’è anche la Chiesa, il monumento, la casa dei conti; lo stradone, tagliando il borgo Pordenone, va proprio verso Pordenone e poi Venezia; il borgo Pordenone è un’unica strada, larga, con le case vecchie, grigie, schiacciate. Ma, se, arrivati alla piazza del Municipio, invece di andare avanti, si va a destra, si arriverà al Borgo Valvasone, nella strada, appunto, che va a quel paese. Il borgo è povero e scuro, con le case forse, più vecchie del paese. Più in là si arriva anche al cimitero nuovo.]


Quasi con la perizia di un cartografo, Pasolini delinea con precisione la mappa geografica dei piccoli paesi che fanno corona intorno a Casarsa e le si collegano attraverso un reticolo di strade e viottoli.
Il brano in friulano è tratto dal manoscritto Vita, ora custodito nell'Archivio del Centro Studi Pasolini di Carsarsa e rimasto inedito fino al 1995, quando è stato pubblicato nel volume Ciasarsa, San Zuan, Vilasil, Versuta curato da Gianfranco Ellero per le edizioni della Società Filologica Friulana.

Edizione consultata:

Ciasarsa, San Zuan, Vilasil, Versuta, a cura di Gianfranco Ellero, Ed. Società Filologica Friulana, Udine, 1995, pp. 469-475.

La parola ROSADA

“In una mattinata dell’estate del 1941 io stavo sul poggiolo esterno di legno della casa di mia madre. Il sole dolce e forte del Friuli batteva su tutto quel caro materiale rustico. Sulla mia testa di beatnik degli anni Quaranta, diciottenne; sul legno tarlato della scala e del poggiolo appoggiati al muro granuloso che portava dal cortile al granaio: al camerone. Il cortile, pur nella profonda intimità del suo sole, era una specie di strada privata, perché vi aveva diritto di passaggio, fin dagli anni precedenti la mia nascita, la famiglia dei Petron: il cui casolare era là, illuminato dal suo sole, un poco più misterioso, dietro un cancello dal legno più tarlato e venerando di quello ancora di quello del poggiolo: e si intravedevano, sempre in cuore a quel sole altrui, i mucchi di letame, la vasca, la bella erbaccia che circonda gli orti: e lontano, in fondo, se si tirava il collo, come in un quadro del Bellini, ancora intatte e azzurre le Prealpi. Di che cosa si parlava, prima della guerra, prima cioè che succedesse tutto, e la vita si presentasse per quello che è? Non lo so. Erano discorsi sul più e sul meno, certo, di pura e innocente affabulazione. La gente, prima di essere quello che realmente è, era ugualmente, a dispetto di tutto, come nei sogni. Comunque è certo che io, su quel poggiolo, o stavo disegnando (con dell’inchiostro verde, o col tubetto dell’ocra dei colori a olio su del cellophane), oppure scrivendo dei versi. Quando risuonò la parola ROSADA.
Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto  e d’ossa grosse … Proprio un contadino di quelle parti … Ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza. Poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccolo-borghesi. Tuttavia Livio parlava certo di cose semplici e innocenti. La parola «rosada» pronunciata in quella mattinata di sole, non era che una punta espressiva della sua vivacità orale.
Certamente quella parola, in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende al di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono.
Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo i interruppi subito: questo fa parte del ricordo allucinatorio. E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stato solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere graficamente la parola ROSADA.
Quella prima poesia sperimentale è scomparsa: è rimasta la seconda, che ho scritto il giorno dopo:

Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l’aga …
………………………………"


In questo celebre brano, inserito tra le riflessioni teoriche di Empirismo eretico, Pasolini rievoca l'inizio folgorante della sua poesia friulana, sottolineando il valore decisivo, quasi incantatorio, dei suoni della lingua friulana, prima di lui mai restituita  in segno grafico.
La lirica cui il poeta fa riferimento è Il nini muàrt, poi inclusa in Poesie a Casarsa (1942).

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Empirismo eretico (1972), in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W.Siti e S. De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1999 ["I Meridiani"], vol. I, pp. 1316-1318.

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Due Casarse

"(…) D’altra parte – a causa delle esperienze infantili rimaste inalterate nella memoria – esistono due Casarse nettamente distinte: quella della realtà e quella dei sogni. Per esempio nella Casarsa dei sogni, il paese non finisce dietro la chiesa; al contrario, proprio lì dietro sorge una cattedrale un po’ in rovina, di un seicento rustico dal fasto orientale, le cui pareti, in parte crollate, lasciano vedere gli affreschi dell’interno, con azzurri un po’ freddi e forme vagamente gotiche; e dietro questa cattedrale (che è la vera chiesa di Casarsa) c’è una profonda e verde vallata, in fondo a cui scorre un ruscello, e qui l’aria è stranamente più toscana o laziale che friulana.
E ancora, per via Roma, a destra prima della casa dei Lucchesi, c’era un muretto, con dietro dei tigli: da bambino non riuscivo a capire cosa ci fosse dietro quel muretto (ricordo perfettamente invece l’odore “storico” dei tigli), e così adesso qualche volta me lo sogno, sempre uguale: si tratta di una ripida china, con degli arbusti, stranamente grandiosa, come l’argine di un grande fiume; e anche lì, in fondo, scorre un ruscello.
Ciò che è andato veramente perduto, sia nella Casarsa della realtà, che nella Casarsa dei sogni, sono le rogge. E queste le rimpiangerò tutta la vita. Con la Latteria, e la Cooperativa, le rogge sono cose “di un tempo”, anteriori alla trasformazione capitalistica, e cioè perdute nei secoli dell’epoca contadina, senza soluzione di continuità con le selve romanze, con le invasioni dei barbari, con la chiesa di Cristo. Ora tutto ciò è finito, in una rapida evoluzione, di cui ci vantiamo. E tuttavia non vogliamo, ancora, arrenderci a dimenticare."


Il brano si riferisce alla Presentazione che Pasolini scrisse nel 1969 per il libro in ricordo del  "Cinquantenario della Società Cooperativa di Consumo 1919-1969 di Casarsa della Delizia".

Edizione consultata:

Ciasarsa, San Zuan, Vilasil, Versuta, a cura di Gianfranco Ellero, Società Filologica Friulana, Udine, p. 11.

L'inaugurazione dell'Academiuta

A Sergio Maldini, Udine
Casarsa, 6 giugno 1947

“Sono appena tornato da Pordenone, anzi, dal sole. Mio padre con un tegamino in mano sta preparando la cena (ma il sole continua a entrare nella camera con una tranquillità incredibile; colora tutto di un giallo etereo, come se non dovesse mai più tramontare). Se tu immaginassi che calma! Sai, si odono dal cortile assolate le voci di alcuni uomini (felici perché fra poco ceneranno e perché hanno il corpo tiepido) miste ai canti ingenui degli uccelli. E’ un momento non mio, per questo te ne parlo così rozzamente. Ma era necessario che ti descrivessi ciò che è, hic et nunc, intorno al mio corpo? L’ho fatto perché tu non mi creda un’immagine. Sono vivo, capisci Sergio? Te ne do l’ultima prova: ho mal di stomaco, sento il tic-tac della sveglia.
(…) L’inaugurazione dell’Academiuta si farà Domenica, 16 giugno. Tu sai che partirà da Udine un torpedone della Filologica. Cerca di avvertire quegli altri tre o quattro gatti che s’interessano di poesia. Ad ogni modo verrò prima io a Udine.”


La lettera fu inviata da Pasolini all'amico Sergio Maldini il 6  giugno 1947. Contiene all'interno il riferimento all'inaugurazione della stanza dedicata alle riunioni dell' Academiuta di lenga furlana, ancora oggi visibile a Casa Colussi nella sua impostazione originaria.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino, 1986, pp. 304-305.

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Odore di terra romanza

"Chi parte da Venezia, dopo un viaggio di due ore  (se prende  l'accelerato, magari quello del sabato sera, pieno di studenti e di operai) giunge al limite del Veneto e, per dissolvenza, entra nel Friuli. Il paesaggio non sembra mutare, ma se il viaggiatore è sottile, qualcosa annusa nell'aria.
E' cessata sulla Livenza la campagna dipinta da Palma il Vecchio e da Cima. Le montagne si sono scostate, a nord, e appiattite a colorare il cielo di un viola secco, con vene di ghiaioni e nero di boschi appena percettibile contro il gran velame; e il primo Friuli è tutto pianura e cielo. Poi si infittiscono le rogge, le file dei gelsi, i boschetti di sambuchi, di saggine, lungo le prodaie. I casolari si fanno meno rosei, sui cortili spazzati come per una festa, coi fienili tra le cui colonne il fieno si gonfia duro e immoto. Ma è specialmente l'odore -che fiotta dentro lo scompartimento svuotato - a essere diverso. Odore di terra romanza, di area marginale. Sulla dolcezza dell'Italia moderna c'è come il rigido, fresco, riflesso di un'Italia alpestre dal sapore neolatino ancora stupendamente recente".


Il Friuli è un testo radiofonico di Pasolini,  trasmesso dalla Rai l'8 aprile 1953 alle ore 18.45 nel programma Paesaggi e scrittori. Ciclo dedicato al Friuli.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Il Friuli, in Saggi sulla letteratura e sull'arte,a cura di W. Siti e S. De Laude, 2 voll. Mondadori, Milano, 1999 ["I Meridiani"], v.I, p. 459

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Una macchia d'umido

"L'etimo slavo di Casarsa è forse l'ultimo nucleo di quella misteriosità che è necessaria perché un luogo trattenga a sé, e la fedeltà morosa divenga il sintomo di una inguaribile malattia. Il centro abitato di Casarsa è ora per me deperito fino quasi all'annullamento sentimentale; la sua gente [...] non  mi invita più a tentare dei rapporti teneri: le feste casarsesi hanno nella memoria noiosi rintocchi di campane e stinti sorrisi di coetanei, che credono ancora una volta nell'aiuto del vino, nel filo intricato di un'ubriacatura in comune. Rimane tuttavia un resto inesauribile di mistero, che si è cristallizzato nel nome: Casarsa. Quando lo pronuncio concentro in una sola parola la leggenda della mia infanzia, degli anni in cui non sapevo parlare: proprio del tempo, dunque, in  cui i magici coloni slavi  fondavano questi luoghi nel nome, e la selva preromanza e romanza copriva ancora gran parte di questa riva del Tagliamento. Ma già allora esprimevo, in certi miei sentimenti colorati intimamente di speciale, quello che sarei poi divenuto, con tutte le implicazioni affettive e poetiche. Ricordo per esempio la mia piccola figura di bambino di sei anni, durante  un temporale, mentre guardo con i cugini la strada allagata e le pareti della casa di fronte alla nostra macchiate di umido così da suggerirci l'immagine di un orso e di un pesce. Ma quell'emozione di bambino, dovuta agli ultimi rugiadosi scrosci della pioggia, all'odore alpestre delle cene e dell'acqua bevuta dalle cloache, delle ventate fuggiasche,  è identica a certe circostanziate angosce  che mi colgono ora, a venticinque anni: la coscienza e la noia possono ora aver spogliato Casarsa dei suoi colori, ma c'è una tinta incancellabile, che, man mano che gli anni passano, nereggia sempre più intensa nella Casarsa d'un tempo. C'è, al di là della linea della mia memoria,  questa immagine ossessiva di una macchia d'umido."


Il testo rientra nelle prose, dallo spiccato carattere diaristico, stese da Pasolini in Friuli alla fine degli anni Quaranta.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, I parlanti, in Romanzi e racconti, a cura di W.Siti e S. De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1998 ["I Meridiani"], v. II, pp. 164-165.

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A Casarsa un grigio odore di incenso

"Da Casarsa a San Floreano, due chilometri scarsi di distanza, si potrebbero fissare a voce almeno quattro sfumature diverse nel pronunciare una frase o una domanda: sfumature bloccate nella mia memoria, intraducibili, ma essenziali per poter seguire quel filo, quel genio locale -forse non più linguistico, ma fisico e amoroso- che nella mia immaginazione prende la figura quasi di un prezioso ruscello inalveato nelle solitudini rocciose e dorate dei petti, delle gole o dei capelli di coloro che abitano lungo la strada da Casarsa a San Floreano.
A Casarsa  -ma anche qui bisognerà precisare: nella Casarsa vecchia, con la sua dozzina di case decrepite, del Cinquecento, il cui sottoportico, che immette in quelle zone invecchiate con le generazioni, dalla pesta tettonica di orti interni, broli, stabbi, recinti, muretti di sasso, non di rado espone nel centro gli azzurri teneri o i morelli di qualche pittore rozzamente rinascimentale - si parla un friulano solido e grigio ancora intatto ed esemplare nella sua arcaicità. Parlano questo casarsese vecchie famiglie di piccoli proprietari, in cui non sono stati rari i matrimoni fra parenti, e che per tradizione sono attaccati alla chiesa: ciò spiega da una parte la sopravvivenza di certe tradizioni altrimenti inspiegabili in questo incrocio stradale,  e può dall'altra  parte giustificare la sensazione di chi colga in questa parlata qualcosa come un grigio odore di incenso, una immobile noia domenicale, un'eco di cori liturgici cantati nella penombra dell'abside da giovinetti e anziani tutti pettinati, per tradizione cattolica, con la riga in parte e il ciuffo alto sui visi legnosi e irregolari."


Nel brano, tratto dalle pagine de I parlanti, Pasolini collega l'ambiente alla lingua e alla fisionomia di chi vi abita da generazioni.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, I parlanti, in Romanzi e racconti, a cura di W. Siti e S. De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1998 ["I Meridiani"], v. II, pp. 181-182.

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La piazza Italia

"Il pais a si stend da Nord a sud perpendicular al stradon asfaltat ch’al mena a Udin, che, con na dopla curva a passa propit in miès da li dos plassis pi importans dal pais. Vignint da Udin si incuntra prima la plassa de la Bandiera, largia e grisa, e po, davour dal stradon asfaltat, si riva a la plassa dal Munisippi, dulà ca è ancia la Glisia, il monumint, la ciasa dai cons".


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